Cultura

Amleto a teatro

Possiamo dirci davvero fortunati, questo è stato l’anno di celebrazione di Shakespeare, abbiamo avuto modo di vedere e rivedere le sue opere su molti palcoscenici e non solo. Abbiamo avuto la fortuna di poter assistere ad interi Festival dedicati come quello di Verona o di Civita di Bagnoregio e ovviamente il Globe Theatre a Roma ha dedicato risorse alla produzione,così lo stesso British Council ha intrapreso un programma articolato nei tempi e nello spazio nel caso del teatro aprendo una collaborazione con il Festiva di teatro contemporaneo internazionale Quartieri dell’Arte. Quindi se avevi voglia di vedere Shakespeare e non ci sei riuscita/o, beh mi stupisco di come tu abbia fatto.

L’ultimo in ordine di tempo a chiudere l’anno shakespeariano è stato il Teatro “la Comunità” di Trastevere e la sua compagnia, diretta dal regista Giancarlo Sepe, ci restituiscono un Amleto come non te lo aspetti, dove nulla è lasciato al caso. Sepe è noto per la sua grande sensibilità estetica, per la cura dei suoi lavori, come  la scelta di dialoghi mai ridondanti e della lingua non come codice ma come ulteriore elemento scenografico ( come per il caso di The Dubliners), anche questo lavoro si connota per la scelta di una lingua altra, Amletò (gravi incomprensioni all’Hotel du Nord) è un danese a Parigi  e si cimenta come lo zio Claudio (Alessio De Caprio) nel francese, l’usurpatore ed assassino del Re suo padre.  La scenografia è ritagliata su misura per il teatro che lo ospita, una scatola grigia e fuligginosa dove si aprono e si chiudono finestre, porte e corridoi, ma anche armadi: piccoli scenari, finestre sulla parte oscura dei personaggi, sulle macchinazioni,sulle trame infami.
Sembra di essere in un film in bianco e nero (come il primo film di Sarah Bernardt), e come in un film le scene si giocano su più piani non solo in profondità ma anche in altezza. La profondità di campo è sottolineata da un uso della luce che ha la consapevolezza di essere fondamentale in uno scenario così tetro.
I tagli orizzontali enfatizzano la contemporaneità degli avvenimenti come nella scena della fuga dalla Danimarca, per cui gli attori sono costretti a strisciare su un’ impalcatura che ricorda un ponte di una Garde di fine ottocento, che è un po’ trincea, un po’ binario ferroviario. Anche qui le luci ci indicano dove prosegue il viaggio. La luce è guida e manifesta presenza di un Regista-autore, sia dentro che fuori dal palco, decide chi agisce e chi subisce, quando e dove finisce una scena o la storia,ma anche in questo la personalità di Amletó (Guido Targetti) emerge, è la sua storia, la sua ricerca senza pace del padre. Infatti a metà dello spettacolo quando la luce-autore vorrebbe chiudere,  che il carattere del protagonista esce ed interloquisce con quella luce chiedendo di rimanere accora accesa per trovare la verità. È notevole come la luce diventi in questa scena un personaggio. L’impressione che si ha vedendo e rivedendo questo spettacolo, è quella di essere in un film con tanto di “titoli di testa” e di “coda”.

amleto
Il brano che apre ci catapulta nella Francia dei primi del ‘900, a terra solo dei cartelli poi l’esile figura con il volto bianco e in giubba prende posto illuminato dall’alto, è il giovane Amletó che sembra un soldatino di piombo.
Gli attori entrano uno alla volta occupando il proprio spazio nel mondo di questo giovane. Ognuno ha il proprio nome, la propria etichetta. Come a dire, anche se siamo all’inizio,  è ormai tutto scritto,  non può esserci salvezza o ribellione.

Un film muto, o quasi, in cui la musica è voce delle anime e quindi impulso.  Ma non servono tante parole. Quello che conta è tutto lì. I personaggi in scena, i loro volti dipinti di bianco come quelli dei mimo, i movimenti che seguono le emozioni e la trama. Non importa che ci si trovi all’Hotel du Nord e non in Danimarca, che il nemico alle porte siano i nazisti; Almetò c’è, il suo capriccio, l’ironia, ma anche il conflitto con la madre e con il mondo adulto. I moti dell’animo di questo personaggio sono complessi e altalenanti, non a caso è descritto dalla letteratura come una delle figure meno decifrabili in assoluto.
Nel descriverlo sotto l’aspetto psicoanalitico, ovviamente ne esce fuori il complesso edipico, ma in realtà Amletò adora il padre, un re (Manuel D’Amario) imponente ma amorevole con il figlio e la moglie. L’Amletò di Sepe è di umore mutevole, un adolescente che gioca con la morte e con l’amore, le cui  relazioni  sono più forti e sincere con i fantasmi che con i vivi, i quali mantiene un atteggiamento di capriccio e con relazioni che si nutrono solo conflitti: scettico nei confronti del mondo,  fedele solo al ricordo del padre.

Questo teatro ci piace, e se te lo sei perso è un peccato, aspetterai primavera per vedere il nuovo spettacolo di Sepe.
Ma da qui ad allora ti inviteremo al cinema e al teatro e magari a qualche concerto, certe volte noi saremo come te degli spettatori, altre volte e speriamo siano tante,  cercheremo di intrufolarci nel dietro le quinte , magari raccontandoti come nasce uno spettacolo.

Quindi come diceva il tale: follow me!

Leila Tavi

Leila Tavi is a journalist specialized in Russian Politics and Culture and PhD c. in Russian History at the University of Vienna under the supervision of Prof. Andreas Kappeler. She studied Political Science in Vienna and Rome, graduating in History of Eastern Europe at Roma Tre University, with Prof. Francesco Guida and a thesis on travel reports about Saint Petersburg by West Europeans at the beginning of the XIX Century. Previously she obtained a degree in Foreign Languages, with a specialization in German Philology at the University of Rome «La Sapienza». Her new book "East of the Danube" is coming soon.