Cultura

Bowling for Columbine di Michael Moore: il paradosso U.S.A.

Bowling for Columbine è un documentario di Michael Moore del 2002 incentrato sulla violenza d’arma da fuoco, in cui il filmmaker indaga sull’orribile carneficina alla Columbine High School di Littletown nel 1999.

Scheda del film

PRODUZIONE: U.S.A./Canada
ANNO Di PRODUZIONE: 2002
GENERE: Documentario
DURATA: 120′
INTERPRETI: Michael Moore, George W. Bush, Dick Clark, Charlton Heston, Marilyn Manson, John Nichols, Chris Rock, Matt Stone
SCENEGGIATURA: Michael Moore
FOTOGRAFIA: Brian Danitz, Michael McDonough
MONTAGGIO: Kurt Engfehr
COLONNA SONORA: Jeff Gibbs

Il regista americano Michael Moore, già noto per un suo precedente documentario, Roger & Me, sui licenziamenti della General Motors a Flinth in Michigan, continua le sue indagini sulla vita in America, affrontando l’uso delle armi e della violenza.

Moore ha oltre venti testimoni che appaiono davanti alla sua macchina da presa: un cittadino qualunque, come un padre che ha perso il figlio nella sparatoria a Columbine, al famoso Charlton Heston, presidente della National Rifle Association che, nel cuore dell’intervista si alza per evitare il dolore legato alle conseguenze del suo lavoro.

Moore entra così nel cuore dello star system alla fine del documentario, tenendo forse fede allo scritto, in forma diaristica, più che documentaristica del film.

Ma che mondo meraviglioso è quello che fa cresce i propri figli e figlie tra le armi, mimetizzati come la retorica di chi è contro la violenza e poi magari vota Bush ed Enron e tutti quei machi che passano a un tratto nel materiale di repertorio montato a dovere per fare un excursus sulla storia americana? Sulla canzone di Luis Armstrong, a un tratto, sulle parole di ‘the colors of the rainbows so pretty in the sky’, sventola la bandiera dell’Iraq.

Il nero, il rosso e il bianco sono colori complici, come quelli dei cartoni animati che velocissimi scorrono davanti agli occhi.

È ben noto che la velocità di Spongebob può causare disturbi nelle menti delle persone, ma che importa? Che importa, che in un attimo, un ragazzo di un liceo possa spogliarsi di decine di armi e che solo con un metal detector all’entrata, si possano limitare i danni? Che importa se si vive in uno stato degenerato di paura e ignoranza? Che importa se la vita di una persona è come una pallottola che entra in un corpo e colpisce più parti e ti fa pensare all’americano medio che uscito da casa, va in chiesa, poi al Walmart e poi a scuola? Dal film, si capisce che anche il Canada non scherza in caso di armi.

Insomma, siamo tutti bravi a dire che le armi non si usano, ma siamo in grado di riconoscere la violenza? E la violenza che infliggiamo a noi stessi, mentre magari giudichiamo gli altri dalla punta della piramide che ci siam costruiti di alibi?

L’opera di Moore è interessante perché è ricca di punti di vista, al di là del numero di interviste.

Bella perché pesante e forte, con una sola canzone all’inizio, che potrebbe benissimo stare nei titoli di testa, ma in realtà ti porta già a capire la distorsione delle menti, acculturate e non.

E tutto, come sempre, intendendo la serietà delle intenzioni di chi fa il proprio lavoro e non per stupida ridicola inutile gloria, sottovalutato da chi deve far veicolare il messaggio.

Guardiamo il trailer del film. Michael Moore viene chiamato ‘rompiscatole‘. Un uomo che dice che più di mezzo mondo usa le armi, perché vive in uno stato di terrore indotto dal potere costituito; che invece questo mondo, magari, potrebbe puntare alla salute mentale dei popoli, garantendone la reale crescita, quest’uomo viene etichettato come rompiscatole.

Allora la domanda nasce dinnanzi a un atteggiamento del genere. Davvero il cinema è così sottovalutato? Davvero tutto viene preso come un gioco? Anche i propri sentimenti, dato che le emozioni, è evidente, sono completamente ignorate?

Michael Moore è ancora attuale? E il razzismo di cui si parla nel film? E l’ignoranza? Il disagio mentale? E quello spirituale?

Ok, quando ci incontriamo nell’ora dell’aperitivo, diciamo che ‘Bowling a Columbine‘ ha vinto nel 2002 un premio da – tutta – la giuria, vantiamoci dei dati. Magari andiamo anche alle manifestazioni per la pace, critichiamo la tv, ma ignoriamoci.

In un montaggio serratissimo Moore parla anche della famiglia.

Moore intervista Marylin Manson, si fa regalare un fucile da una banca che dà via gratis armi in segno di gratitudine, parla con la gente del Colorado.

Questo film documentario ci vuole far togliere la maschera e far saper dire che abbiamo paura.

L’essere umano ha paura e, magari, lo scrive nei suoi diari sui banchi di scuola, ma non lo sa dire. E quando tutta la rabbia del mondo gli esplode dentro, non c’è più niente da fare.

Resta un barlume di coscienza, ultimo pensiero va alla direzione della fotografia del film. Due autori, a confronto come un pensiero, hanno fornito la visione più vicina al reale e alla tv americana dei talk show. Le parole del popolo sotto ai riflettori sparati.

Film bellissimo e commovente.

Veronica Pacifico

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Foto di copertina: Michael Moore, painted portrait di Thierry Ehrmann con la licenza CC BY 2.0

Video Marilyn Manson Talks About Fear Scene (7/11) dal canale YouTube della Fandango Movieclips

 

Leila Tavi

Leila Tavi is a journalist specialized in Russian Politics and Culture and PhD c. in Russian History at the University of Vienna under the supervision of Prof. Andreas Kappeler. She studied Political Science in Vienna and Rome, graduating in History of Eastern Europe at Roma Tre University, with Prof. Francesco Guida and a thesis on travel reports about Saint Petersburg by West Europeans at the beginning of the XIX Century. Previously she obtained a degree in Foreign Languages, with a specialization in German Philology at the University of Rome «La Sapienza». Her new book "East of the Danube" is coming soon.