Arte

Anni ruggenti: l’Art Déco in Italia

Si preannuncia indubbiamente come una delle mostre più interessanti dell’anno, a cominciare dal titolo: Art Déco – Gli anni ruggenti in Italia.

Articolata in 15 sezioni tematiche, l’interessante rassegna permette di apprezzare l’evoluzione del Déco, dai suoi inizi, datati 1919, fino a tutto il decennio successivo.

Le sale espositive si sviluppano sui due piani dei Musei di San Domenico a Forlì. Nato in origine come convento, questo particolare complesso dopo anni di abbandono, dal 1978 è stato oggetto di un lungimirante progetto di restauro e riconversione.

La sezione iniziale, Le radici del gusto Déco tra secessione ed espressionismo, proietta immediatamente il visitatore all’interno di questa affascinante corrente artistica. L’imponente tempera su carta di Luigi Bonazza, Notte d’estate (1928), racchiude in sé tutti i canoni e i tratti delle precedenti avanguardie, ormai già quasi superati, lasciando spazio a nuove soluzioni estetiche.

Proseguendo ci imbattiamo in sale come quelle dedicate al Mito dell’oriente o alle Atmosfere di interni e di viaggio, dove uno stile Déco già maturo sembra essersi impadronito di tutte le forme di decorazione d’ambienti (non solo domestici), come sale da ballo, teatri e transatlantici. Qui assumono grande rilevanza oggetti raffinatissimi ma al tempo stesso solidi e funzionali come ad esempio la Poltrona per la sala d’attesa di I classe della Stazione Centrale di Milano di Ulisse Stacchini.

Nelle sezioni finali, come in quella denominata Venere moderna, troviamo l’Art Déco nella sua quintessenza formale. La figura femminile, sensuale e spesso erotica, domina l’iconografia in tutte le soluzioni artistiche, dalle tele alle ceramiche, dai bronzi alle placchette metalliche, dall’oggettistica alla moda.

Per poter comprendere fino in fondo l’essenza di un’esposizione così variegata e complessa, è necessario prima di tutto immergersi nel periodo di riferimento, gli Anni Venti.

Art Déco è prima di tutto uno stile di vita. È un nuovo gusto, una fascinazione, un linguaggio che arriva a definire la produzione artistica italiana ed europea, durante il decennio immediatamente successivo alla Prima Guerra Mondiale. È un nuovo modo di vivere eclettico e lussuoso, sfrenato, appannaggio per lo più dell’alta borghesia dell’epoca. Si tratta di una vera e propria rivoluzione delle dinamiche che riguardano il quotidiano. Questa continua ricerca della piacevolezza, dell’effimero in tutte le sue sfaccettature, del sofisticato, di un’estetica complessa ma allo stesso tempo accessibile, prende forma nell’oggettistica, negli arredi, nella moda e nell’architettura.

La classica linea serpentina a colpo di frusta, e le ricercate evoluzioni decorative fitomorfiche caratteristiche del Liberty, vengono pian piano superate dal gusto per la linea retta e spezzata, dal rigore geometrico – retaggio dell’avanguardia futurista – e dai fondali piatti provenienti dal movimento simbolista, ormai giunto alle sue fasi conclusive. Dominano i colori antinaturalistici, la sovrapposizione fra realtà e sogno, tra realismo e astrazione simbolica. C’è un recupero di elementi classici, ma resi essenziali con un intento dichiaratamente ornamentale. In sostanza alle elaborate espressioni del Liberty e dell’Art Nouveau si contrappone definitivamente il razionalismo dell’Art Déco.

Fra gli aspetti che più caratterizzano questo periodo vi è sicuramente la nuova veste assunta dalla donna. La troviamo assoluta protagonista a livello iconografico nelle ceramiche, nella pittura, e nella moda. Si tratta però di una figura nuova e inedita, finalmente affrancata dalla difficile vita che la Prima Guerra Mondiale le aveva imposto. Una donna che, dopo aver rivestito i ruoli del compagno assente, adesso rivendica finalmente la sua emancipazione.

Niente più corsetti e merletti, ora il gentil sesso pratica sport, vuole muoversi con disinvoltura, e ambire a nuove professioni precedentemente riservate solo alla figura maschile. Diventano imperativi il taglio di capelli alla garçonne, le sopracciglia scure e ben definite, la silhouette longilinea.

Il suo abbigliamento è caratterizzato da linee dritte e ampie. Il punto vita non è più messo in evidenza. A questa semplificazione sopperiscono lo sfarzo dei tessuti, le applicazioni di perle e paillettes, e i ricami ricercatissimi che, associati a décolleté vertiginosi e scarpe con tacco, delineano i primi aspetti del moderno concetto di glamour.

Nelle arti applicate, soprattutto nella pittura, la figura femminile è raffigurata costantemente in maniera androgina, spesso in atteggiamenti saffici o estremamente erotici. L’androginia in alcune immagini finisce anche per coinvolgere la figura maschile. L’uomo è rappresentato di volta in volta come danzatore oppure come damerino (i ritratti di Tamara de Lempicka ne sono una chiara testimonianza) così da essere perfettamente in linea con il dilagante gusto per l’eccentrico, che finisce per coinvolgere, oltre gli abiti e gli accessori ricercati, anche le posture, mettendo ancor di più in evidenza il progressivo avvicinamento fra i due sessi.

Oscar Hermann Lamb, 1933, La coppa verde, Collezione privata

A tal proposito è sicuramente emblematico il dipinto La coppa verde (1933) del triestino Oscar Hermann Lamb. In quest’opera, dagli aspetti profondamente ambigui, due figure femminili con tratti androgini e capelli corti, si contrappongono algidamente pur mantenendo una forte sensualità, una vestita (seduta) l’altra completamente nuda (in piedi). Le due donne, con sguardi divergenti e spiccata personalità, appaiono entrambe in attesa. Il dipinto incarna per molti versi l’essenza Déco: forti contrapposizioni, forme longilinee ma flessuose, rigore, erotismo, colori decisi. Inspiegabilmente tutti questi aspetti, come il soggetto pittorico, non appaiono nel titolo che, al contrario, evoca solo l’oggetto d’arredo rappresentato sullo sfondo, quasi fosse preso in prestito dalla sezione della mostra dedicata agli oggetti in vetro soffiato.

Un altro aspetto fondamentale di questo nuovo stile è senza dubbio l’eclettismo, che accompagna tutto il decennio del Déco italiano. È presente un esotismo dirompente, sia spaziale che temporale, che dilaga in ogni forma espressiva. Dalle forti influenze egizie (nel 1922 infatti venne scoperta la tomba del faraone Tutankhamon), alla profonda analisi dell’arte giapponese, in precedenza già fonte d’ispirazione dei simbolisti. Non mancano poi alcuni richiami all’arte persiana e africana. L’obiettivo dichiarato è quello di una assidua ricerca di evasione dal quotidiano, che metaforicamente si concretizza attraverso gli arredi interni delle proprie dimore.

Il vate di questo nuovo stile di vita fu, senza dubbio, il celebre scrittore Gabriele d’Annunzio. La sua residenza sul lago di Garda, “Il Vittoriale degli italiani”, è la quintessenza del Déco. All’interno delle sue stanze l’horror vacui detta legge. Ogni ambiente ha un nome, ed è ben definito attraverso arredi e opere d’arte finemente ricercati.

Il gusto dannunziano quindi rappresenta magistralmente l’esatta coniugazione tra sfarzo, materiali pregiati, e atmosfere esotiche ed erotiche, cercando inoltre di attualizzare tutto il precedente bagaglio iconografico del simbolismo.

Perfino l’automobile esposta del famoso letterato, un pezzo unico e personalizzato realizzato appositamente dalla gloriosa Isotta Fraschini, è perfettamente in linea con questo elitario modus vivendi, lussuoso ma al tempo stesso funzionale.

Come accennato in precedenza, è nell’anno successivo alla fine della Prima Guerra Mondiale, che in Italia appaiono le prime manifestazioni di questo nuovo gusto. In breve tempo si passa dalle opere di Fortunato Depero, ancora intrise dei dinamismi futuristi, alle infinite e innovative soluzioni di Giò Ponti. Gli Anni Venti rappresentano l’apice dell’Art Déco, e contemporaneamente il decennio in cui prende forma ciò che ancora oggi viene identificato universalmente come Made in Italy.

Il Déco quindi, pur mantenendo nei suoi manufatti un altissimo livello di artigianalità, si caratterizza per dar vita al primo vero connubio fra arte e produzione industriale. Ogni oggetto oltre a essere un pezzo unico grazie al personale intervento dell’artista, vede al tempo stesso la sua prima realizzazione seriale. Questo importantissimo passaggio risulta evidente nella produzione della ceramica. L’esempio certamente più conosciuto è la grande collaborazione fra il famoso architetto e designer Giò Ponti e la nota fabbrica Richard Ginori, alla quale l’esposizione dedica ampio spazio. Ma anche gli arredi, i tessuti, i vetri, i metalli lavorati, i gioielli e gli argenti fanno parte di questo nuovo e innovativo connubio artistico-industriale.

Tutta la fase Déco è vissuta come un’utopia di vita lussuosa proiettata in ogni piccolo aspetto del quotidiano, quasi una specie di ossessione. Questo dettaglio emerge molto chiaramente nel corso della rassegna attraverso i raffinatissimi vetri di Carlo Scarpa, le sete di Marcello Nizzoli, i vasi di Francesco Melandri, gli esotici centrotavola rappresentanti cortei in maiolica di Francesco Nonni, i ritratti di Alberto Martini o le terraglie dalle fogge ricercatissime color corallo di Guido Andlovitz.

L’esposizione vanta perfino una piccola Wunderkammer, dove sono esposte le opere del più eclettico e originale fra gli orafi del periodo, Alfredo Ravasco. Al suo interno possiamo ammirare numerosissimi oggetti, la maggior parte di piccole dimensioni, realizzati in agata, malachite, corallo, varie pietre preziose e oro. Si tratta di molteplici coppe e piccoli centrotavola dai quali emerge un gusto quasi arcimboldesco. Raffinate riproduzioni di animali come pesci, tartarughe, orsi, leoni, cigni o serpenti, si arrampicano e sostengono questi preziosissimi oggetti appartenenti, nella quasi totalità, a collezioni private.

Dopo la sede principale, la mostra prevede altri tre interessanti appendici.

La prima, nelle vicinanze, è Palazzo Romagnoli dove è possibile ammirare la Sala Wiltd in cui sono esposte varie opere proprio del celebre scultore milanese, tutte appartenenti alla Donazione Paolucci.

Si prosegue col MICMuseo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, in provincia di Ravenna, dove troviamo la sontuosa esposizione di manufatti ceramici e suppellettili dei maggiori esponenti del periodo. Dal già citato Giò Ponti a Francesco Nonni, passando per le produzioni artistiche di Domenico Rambelli e Galileo Chini.

Terza e ultima il Padiglione delle Feste di Castrocaro Terme (FC), inaugurato nel 1938 su progetto di Tito Chini. La sosta nella prestigiosa stazione termale permette di osservare anche gli sviluppi in ambito architettonico di questa corrente artistica. Il luogo elegantissimo si caratterizza per la perfetta armonia di luci e colori. Le strutture essenziali e le sue simmetrie si intrecciano con le magie cromatiche dei pavimenti, delle ceramiche e dei paraventi, alla ricerca di nuovi repertori creativi.

Ma cosa succede all’Art Déco dopo i suoi ultimi e grandiosi esiti alla fine degli Anni Venti?

In Italia e nel resto d’Europa il movimento artistico lascia spazio ad un progressivo ritorno all’ordine, caratteristica dei nuovi orientamenti “Anni Trenta” profondamente legati ai mutamenti politici che si vanno affermando nel Vecchio Continente. Questo raffinato stile di vita però non scompare totalmente, iniziando (o proseguendo) la sua diffusione oltreoceano, grazie anche alla migrazione in massa di molti artisti e artigiani, soprattutto italiani, che qui trovano terreno fertile per sviluppare le loro idee.

In questo nuovo decennio infatti, dopo la grande depressione dovuta al crollo di Wall Street del 1929, l’America, come l’Italia negli anni post Grande Guerra, sente la profonda esigenza di rinascere. La necessità di rinnovamento, dettata dal desiderio di superare la devastante recessione economica, unita alla spasmodica ricerca di un nuovo stile di vita e di una nuova identità estetica, creano le condizioni perfette per una rinascita dell’Art Déco

Questa sua nuova evoluzione, che potremmo anche definire Post Déco, trova la sua massima espressione nell’architettura dei grattacieli (tra cui spicca l’Empire State Building) e degli spazi pubblici, nell’arredo dei transatlantici, dei teatri o negli interni delle sale da ballo, rilanciando così il famoso stile di vita ricercato e sfavillante che caratterizzò l’Europa nel celebrato Decennio Ruggente.

 

– Marco Sartini

 

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• Art Déco – Gli anni ruggenti in Italia 

Musei di San Domenico – Forlì

11 febbraio – 18 giugno 2017

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Catalogo:

Art Déco – Gli anni ruggenti in Italia

SilvanaEditoriale, Milano, 2017

(Edizione in italiano, 444 pp., 400 ill. col., Brossura cm 23 x 28)

ISBN: 9788836635450

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Photo credits:

Studio ESSECI, Padova

MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza

Marco Sartini

Leila Tavi

Leila Tavi is a journalist specialized in Russian Politics and Culture and PhD c. in Russian History at the University of Vienna under the supervision of Prof. Andreas Kappeler. She studied Political Science in Vienna and Rome, graduating in History of Eastern Europe at Roma Tre University, with Prof. Francesco Guida and a thesis on travel reports about Saint Petersburg by West Europeans at the beginning of the XIX Century. Previously she obtained a degree in Foreign Languages, with a specialization in German Philology at the University of Rome «La Sapienza». Her new book "East of the Danube" is coming soon.

4 pensieri riguardo “Anni ruggenti: l’Art Déco in Italia

  • È come essere accompagnati a visitare là mostre,bellissima emozione

    • Marco Sartini

      Gentile Agnese,
      questo era lo scopo dell’articolo!
      Come sempre la tua sensibilità unita alla tua determinazione e competenza mi rassicura.
      Cordialmente,

      Marco Sartini

  • Grazie. Molto ispirato. Non so se andrò alla mostra ma la tua descrizione invita davvero.

    • Marco Sartini

      Cara Edi,
      mi fa sempre molto piacere leggere i tuoi commenti. Grazie a te che continui a seguirmi.
      Un caro saluto,

      Marco Sartini

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