Cultura

Migrantes: Paola Scotto di Tella racconta di una famiglia in fuga

 

Migrantes, protagonista della quinta serata del Festival Dell’Altra Estate sul palcoscenico di Casetta Rossa, è una pièce che intreccia la storia di una famiglia in fuga in cerca di una speranza  con le pagine di cronaca dei nostri giorni.

Liberamente tratto da Furore di John Steinbeck, Migrantes, diretto da Paola Scotto di Tella, abbraccia l’idea  del viaggio – faticoso e pieno di aspettative- come simbolo di un possibile cambiamento e di una prospettiva di vita migliore e forse più appagante.

L’intreccio sulla scena, dominato da tre attori e un musicista, scorre parallelamente a immagini di cronaca proiettate in video e l’insieme suona terribilmente attuale e vicino a noi.

Passato e presente sembrano intersecarsi in nome del miraggio di un esistenza diversa, che comincia proprio dall’idea dello spostamento, della migrazione.

Anni 30. La famiglia Joad, a cui si aggiungerà anche il predicatore Casey (Bernardo Nardini) fugge dall’Oklahoma in seguito alla Grande Depressione: la terra è arida e poco fertile, i raccolti sembrano non rendere l’indispensabile per campare e l’unica possibilità reale sembra la fuga, che almeno contiene in sé un briciolo di speranza.
 
(Paola Scotto Di Tella), è forte, autoritaria, dà consigli, prende decisioni  mentre lava i piatti e allo stesso tempo cerca di mandare avanti l’amministrazione famigliare. In Migrantes è questa figura femminile a essere l’ossatura pratica e psicologica della famiglia.
 
L’unità di questo nucleo vacilla e tentenna di continuo,  ma si regge ancora grazie alle forti spalle della donna, che sostengono  il peso di una vita umile, di un figlio scapestrato e delinquente che è, nonostante tutto la luce dei suoi occhi, di una figlia ingenua e troppo giovane per generare un figlio e di un elemento in più (il predicatore Casey) che comunica con il suono della sua chitarra e non con le parole.
 
Ogni personaggio della famiglia Joad è un mondo a sé e la coralità è racchiusa proprio nella figura di Mà, che cerca sempre la soluzione, decide per tutti e trova  la via di fuga  possibile da situazioni difficili.
 
Rose, invece, sua figlia (Francesca Carrocci) è delicata, inesperta e infinitamente ottimista. È capace di vedere la bellezza e la positività anche nel dolore e nella fatica. Non ha più un uomo al suo fianco, ma affronta la vita con spudorato ottimismo e con un pizzico d’ingenuità.
Rappresenta lo spiraglio di luce della vita umile e disgraziata dei Joad.
Intensi gli scambi di sguardi e i dialoghi tra madre e figlia, anche quando Rose cerca di aprire gli occhi a sua madre sulla natura delinquente e deviata di suo fratello Tom, ruvido, aspro, segnato dalla vita e dal passato. 
 
Proprio Tom (Lorenzo Guerrieri) è l’anima scura ed enigmatica del nucleo, sembra placare la sua inquietudine solo ascoltando la musica del predicatore Casey, che accompagna i passaggi dello spettacolo, definisce gli stati emotivi dei personaggi, è l’anima lirica e poetica dell’intreccio. 
 
Casey, infatti, si esprime soltanto con la sua musica:  le ballate che inventa e che canta sono il suo linguaggio, il suo mondo, con cui si relaziona e interagisce con gli altri. Un personaggio insolito e poetico capace di alleggerire, in alcuni momenti, il dolore della famiglia Joad con il suono del canto. 
 
Incisivi e potenti i dialoghi e l’interazione scenica dei quattro protagonisti, capaci di rendere con efficacia i dubbi, le domande, e il miraggio di una fuga che porta in sé il dolore e i semi della speranza.
In scena gli interpreti intrecciano sguardi e  gesti che arrivano da un mondo diverso forse, ma non troppo lontano.
 
Intanto, sullo sfondo, sono proiettati i video dei migranti durante uno sbarco a Lampedusa in un passato e presente che tornano a combaciare, nonostante le dovute differenze. Cambiano i volti, gli sguardi, ma le dinamiche e i meccanismi si ripetono.
 
Uno spettacolo che parla una lingua conosciuta, di una drammatica attualità, interpretato in modo magistrale e ben diretto.